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vano Arlotto con alcuni, furono varie oppinioni di chi
fusse buono e men buono e de più tristi maestri che si
trovassino.
Chi diceva d uno e chi d uno altro.
Disse il Piovano:
 Voi non ve ne intendete; i più cattivi maestri che
sieno sono i bottai e cerchiai, perché d uno diritto fan-
no torto.
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Facezia LXXII: uno prete domanda il Piovano che vita fe santo
cresci e che mestiere feci.
Come io v ho detto, el titolo della chiesa e pieve del
Piovano Arlotto è Santo Cresci a Maciuoli. E celebran-
Letteratura italiana Einaudi 110
Motti e Facezie del Piovano Arlotto
do uno giorno la festa sua con grande solennità, alla
quale erano circa a venti preti, come era suo costume fa-
re così ciascuno anno, la mattina innanzi alla messa dice
uno prete al Piovano:
 Questi mia padri e venerandi sacerdoti mi hanno
commesso che questa mattina io debba predicare e dire
qualche parola, e perché egli è oggi la festa del vostro
santo Cresci fa di bisogno dire qualche cosa; e i non les-
si mai la sua leggenda, né so che vita fece, né dove nac-
que né dove morì. Vorrei che voi mi dicessi che mestiere
fece al mondo.
Rispose il Piovano:
 Io non ve lo so dire, ma io credo certamente che
fussi corriere.
Disse il prete:
 Come, corriere? Non fe egli altro essercizio?
Rispose il Piovano:
 Non mi pare.
Disse il prete:
 Per che cagione?
Rispose:
 Perché mi pare che venghi due volte l anno e non
mi pare che sia ancora sei mesi che io feci un altra
volta
la festa sua.
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Motto LXXIII, risponde il Piovano Arlotto a una donna più ar-
dita che savia.
Uno giorno ero col Piovano Arlotto e con certi altri
suoi amici a sedere in su una panca dirimpetto a quel ce-
leberrimo tempio di Santo Giovanni Batista.
Passa una giovine ardita più che savia e in compagnia
era una matrona da bene e una fantesca.
Letteratura italiana Einaudi 111
Motti e Facezie del Piovano Arlotto
Voltossi inverso quelle donne e disse a noi:
 Ponete mente bella giovine che è quella.
La donna udì e istimò il Piovano la dileggiasse; e ri-
spuose forte al Piovano:
 Così non posso io dire di voi.
Disse il Piovano:
 Sì potresti bene, se voi dicessi le bugie come ho det-
to io.
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Motto LXXIIII, dice a certe donne le quali mormoravono d uno
suo parente, passando per la via.
È antica consuetudine in Firenze che le nostre donne
fiorentine l anno di state si stanno per rispetto del caldo,
il giorno doppo desinare, in certe loro corte e terreni, il
più delle volte a fare loro essercizii, come di filare o di
cucire, e quasi insino all ora della cena.
In sull ora di vespro passa uno dì il Piovano Arlotto
per borgo Santo Appostolo, e truova in su uno uscio al-
quante donne che cucivano.
Dice una:
 Piovano, buon pro vi faccia: Currado vostro ha aùto
uno bello figliuolo maschio ed è istato da piú che gli al-
tri, ché in settanta anni ha saputo fare quello non sa fare
uno giovine in venticinque; ma gran mercé alla bella sua
moglie.
Intese dua cose il Piovano: l una, che dileggiavano lui,
e la seconda che facevano il parente suo becco e la mo-
glie puttana, la quale era buona e onesta giovine di nobi-
le sangue e molto bella.
Di subito rispose alle parole loro, e sanza pensare e
disse:
 Credete che non ci sia delle altre puttane come voi?
Ammutolorono, ne mai più né prima né poi gli detto-
Letteratura italiana Einaudi 112
Motti e Facezie del Piovano Arlotto
no impaccio ne dissono più male del parente né della
parente suoi.
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Facezia LXXV, del Piovano e d una monaca.
Nel tempo che  l Piovano era giovine e non era anco-
ra prete ed era uno bello garzonotto da fatica, tentato da
diabolica instigazione, andò a una monaca suora, la qua-
le era forte innamorata di lui; e quando furono a con-
giungersi insieme, tanta era la isfrenata voglia della libi-
dine che era in lei, che ella quasi non sentiva niente; e
come quella che forte appitiva la carnalità e toccando il
Piovano come donna d assai voleva rassettare le masseri-
zie, e toccando truova i testicoli e dice al Piovano:
 Che sono questi e come si chiamano?
Alla quale e rispose:
 E si chiamano i trastullini.
Rispose la buona suora:
 Cacciatemegli qua drento, ché noi suore non abbia-
mo bisogno di tante borie di fuori.
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Facezia LXXVI: l arciprete di graticciuolo confessa uno contadi-
no.
Io ti ho detto una novella innanzi in questo libro co-
me quello magnifico cavaliere e nobile gentile uomo,
messer Nicolò de Vitelli da Città di Castello, istette più
volte in Firenze quando era fuori uscito della terra sua:
col quale il nostro Piovano Arlotto ebbe lunga famiglia-
rità, e una sera a tavola e poi a veglia si disse molte pia-
cevolezze; e tiratomi da parte uno ser Tommaso Brozzi,
pure da Città di Castello, e cancelliere di detto messer
Niccolò, mi dice:
Letteratura italiana Einaudi 113
Motti e Facezie del Piovano Arlotto
 Io ho inteso che qualche volta il Piovano fa questo,
che, quando uno dice una novella e vogliane una altra a
quello proposito, la dice; per certo mi par grande mara-
viglia e non lo credo. Io lo voglio provare al presente.
Risposili che invero io non lo sapevo e che quasi an-
cora io non lo credevo, ma:  Provate!
Voltossi ser Tommaso al Piovano e disse:
 Io vi voglio dire una piacevolezza, in questa sera, la
quale mi incontrò a Urbino poco tempo fa, che ero an-
dato a quello illustrissimo duca per faccende di messer
Nicolò qui, dove io istetti parecchi mesi.
Una mattina andando a vigitare madonna Battista
Isforza, donna di detto duca, e in mentre parlavo con lei
viene uno certo prete il quale si domandava lo arciprete
di Graticciuolo; e doppo le salute fatte, domandò quella
magnifica madonna certa grazia; al quale ella rispuose
ridendo e disse:
«Io voglio prima mi diciate come passò quella novella
di quello contadino vi doveva dare quella soma di vino [ Pobierz całość w formacie PDF ]

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