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pozzo dicere in bona fede con veritate, ché delle arme
de questi io viddi per questa via. Nella citate de Tivoli
venne Carlo imperatore, anno Domini MCCC [...], co-
mo se dicerao. La iente era moita. Io stava in una ponti-
ca, là dove venne uno a comparare cannele de cera e
confietti e spezie. Questo teneva una spada sotto vrac-
cio. Lo pomo era tutto inaorato e lavorato a igli e fiori.
Dissi io: «Vòi tu vennere questa spada?», e trassila fòra
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Anonimo romano - Cronica: Vita di Cola di Rienzo
dello fodero. Era la spada como le nostre soco, in forma
de mieso stuocco, mesa spada. Non era troppo granne
né troppo lata, ma, como le nostre, bene convenevile,
fatta allo muodo genovese. Lo pomo era luongo como
uno prungo piano, l ilzo como mesa luna, e era la maiu-
re parte  naorato lo fierro, l ilzo e·llo pomo tutto. La vai-
na era curata con tenere de fierro bene lavorato e·llo ca-
spiello con correie moito adorne. Parevame che·lla
spada non era sempia como le nostre. Respuse lo buono
omo e disse: «Io non la voglio vennere, né la dera per
cinquanta fiorini». E ciò fermao con sacramento. La ien-
te che intorno stava disse: «Perché?» Respuse e disse:
«Questa spada fu guadagnata nella rotta de Spagna, nel-
lo granne stormo quanno fu sconfitto lo re de Bellamari-
na dallo re de Castiglia. Io me nce retrovai. Dunque,
benché assai bona sia, aiola cara troppo. Non la dera per
moneta alcuna». Fatta questa sconfitta e raccuoito lo
campo e licenziati li regi e li aitri aiutorii, lo re Alfonzo
non posa. Anche fece iente de sio reame e de crociata e
sequitao la iniqua iente perfida. Moito li molesta. De lo-
ro terreno vole. Intanto morìo papa Benedetto, lo bian-
co, e fu creato papa Chimento, lo monaco nero. Era una
nobile citate canto mare, nelli confini de Saracinia, la
quale avea nome la Ginzera. Lo paese hao nome Gigi-
zia. Questa era delle megliori e delle più nobile e più ric-
che de speziaria, seta e panni de Tuniso che in Saracinia
fussi. Questa citate assediao lo buono re Alfonzo per
mare e per terra. Lo assedio fu durissimo. Ciento trenta-
cinque galee abbe per mare e per terra iente infinita da
pede e da cavallo. Durao lo assedio mesi diciotto e fu
auta per fame. In quella citate entrao lo re Alfonzo e soa
iente. Prese chi voize, occise chi·lli parze e cacciaone
tutta la perfida iente. Toize tutto loro arnese, lo quale fu
tanto che ène inestimabile. Quella citate empìo de Cri-
stiani. E fuoronce edificate chiesie, locora de religiosi e
fonne fatte doi vescovata. Quella citate fi allo dìe de oie
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Anonimo romano - Cronica: Vita di Cola di Rienzo
serve a Cristo glorioso e benedetto. Ora poni cura alla
novella. Puoi che·llo re abbe venta la Ginzera, non abbe
bisuogno de tanta moititudine de iente. Licenziao li sol-
lati. Granne spesa avea fatta. Fra li aitri licenziati fuoro
trenta cuorpi de galee de Genovesi, le quale li aveano
bene servuto. Queste galee tornaro a Genova. Quanno
fuoro nello entrare dello puorto, como usanza ène, so-
naro tromme e naccari e ceramelle. Troppo imperiale fa-
co suono e alegrezze. Puoi entraro lo puorto e puserose
ad ordine. Moito letamente dao in terra tutto lo stuolo,
bene vestuti, bene adobati e riccamente. Forte aveano
guadagnato. Fra le aitre cose per novitate pusero nello
puorto, su lo passo dello puorto, sei de quelli Mori, li
quali erano male vestuti. De gialle schiavine loro cuorpo
era ammantato. Fierri tenevano in gamma. Mustravano
ca erano presonieri. Tutta Genova curre e descegne allo
puorto a vedere le galee venute. La moita iente se foice.
La moita iente fao intorno rota a questi mori. Desidera
omo vedere la iente della strania fede. Staievano li sei
Mori miserabilemente timorosi fra tanta iente. Moito
moito favellavano e po lo favellare voitavano loro capo-
ra, aizavano la faccia e resguardavano, como ammaravi-
gliassino, le belle edificia e palazza aitissime le quale sta-
co intorno allo puorto de Genova. No·lli intenneva la
iente. Era là uno siervo de Genovesi lo quale fu saraci-
no. Era cristiano e nutricato in Genova. Latina lengua
sapeva. Diceva la iente: «Que dico questi?» Responne-
va: «Questi dico così:»Non è maraviglia se noi Saracini
simo sconfitti e perdienti, ca nce ène stata sopre tutta
Cristianitate e Genova»». Quanno aiognevano Genova,
allora volveano le facce maravigliannose a quelle palazza
dello puorto de Genova. Credevano che Genova fussi
tutta la fortezze e bellezze de Cristiani, non se ne trovas-
si simile. In questo potemo conoscere che loro avitazioni
non soco così delicati como li nuostri. Anche ne venne
della Gizera lo vescovo de Peroscia, lo quale fu delli cro-
ciati, e menao con seco otto de quelli Turchi. Fuoro da
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Anonimo romano - Cronica: Vita di Cola di Rienzo
cavallo, fuoro uomini bianchi e belli como noi; calza-
menta como noi, ronzini como noi. In capo portavano
uno capiello fi alle recchie como mitra de papa. Vero è
che in mieso avea uno pizzo ritto, luongo, sottile como
fussi cuollo de gruva, copierto de panno de lino bianco.
Aduosso portavano uno farsetto de panno de lino bian-
co como noi. Vero è che·lle maniche erano longhe fi al-
le deta della mano. Sopre lo farsetto portavano uno
manto de panno de lino como piviale da preite. La pon-
ta dello lato ritto se iettava dalla spalla manca e quella
della manca se iettava dalla spalla ritta. Po questo don-
no Alfonzo non posa. Anco fao iente de sio paiese, e ab-
be assediato lo bello e nobile castiello, uitima fortezze
de Saracini. Iubaltare lo castiello hao nome. Lo paiese
hao nome Alcacuc. In questo castiello Macometto scris-
se la soa leie e deola a Saracini e fece lo livro lo quale se
dice Alcorano. Sopre de questo castiello puse l oste lo re
e iurao per la maiestate de sio reame e per l aitezza de
soa corona mai da quello assedio non partire finente che
quello castiello non avea. Ficcao sio stennardo in terra.
Serrato era allo torno. Lì puse l oste e guardie credenno-
sello prennere per fame. Ène lo castiello bellissimo e
fortissimo. Hao nome Iubaltare. Stao in una penna de
preta viva aitissima. Su in quella preta l aquile faco lo ni- [ Pobierz całość w formacie PDF ]

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